Dicono di noi

19

Novembre
2007

"MAFIA: le vittime non sono di serie A e serie B. Dignità per tutti."

Cari Amici,
dalle ore 19,00 di giovedì 15 Novembre, io e Lucia Ievolella (figlia del m.llo Vito Ievolella, ucciso dalla mafia), insieme ad altri familiari di vittime uccise dalla mafia, ci siamo "virtualmente" incatenati ai cancelli della Prefettura di Palermo. Il gesto, dall'evidente carattere simbolico, è stato il frutto di una sofferta decisione, che scaturisce dalla volontà di contestare un grave provvedimento legislativo, inserito nell'attuale finanziaria, che discrimina le vittime della mafia rispetto alle vittime del terrorismo.
Soprattutto a partire dagli eccidi di Falcone e Borsellino, nella società civile si è diffusa la giusta consuetudine di parlare di antimafia e di legalità . Sono nati i cortei, "le lenzuola", le marce, i concerti, le navi e tutte le scuole hanno in qualche modo partecipato o manifestato la propria solidarietà. In una di queste occasioni sono stato personalmente testimone di un fatto,a mio parere, estremamente grave. Nel chiedere a due ragazzi di circa 16/17 anni se conoscessero gli uomini che hanno combattuto la mafia, mi sono sentito rispondere con piglio deciso: "Certo, Falcone e Borsellino". La loro risposta è stata agghiacciante proprio per la sua genuità e semplicità: questi giovani sono prigionieri di una voragine di oblio, da cui i loro adulti di riferimento non li aiutano certo ad uscire. Decine di uomini (civili e militari) sono stati cancellati dalla memoria storica di questa città e di questa regione e, nell'immaginario collettivo dei giovani e degli adulti, solo raramente è presente qualche traccia del contesto che ha preparato ed ha circondato il lavoro dei due magistrati sopra citati. Decine di libri di storia della mafia ricordano che,a partire dalla fine della seconda guerra mondiale, centinaia sono state le persone uccise dalla mafia; dal 1977 al 1992 (epoca delle stragi Falcone e Borsellino) tanti uomini e donne sono morti o per affermre i valori della legalità e della democrazia o per essere divenuti casualmente vittime di vendette o strategie del terrore. Eppure, quando si parla di vittime della mafia o di lotta alla mafia, pochi nomi vengono ricordati ed esaltati.
Nell'epoca dei "testimonial", stranamente ci si dimentica di cercare e di dare voce ai testimoni di questa guerra della mafia contro lo stato, ci si dimentica di interpellare i familiari delle vittime della mafia. Vi assicuro che, se qualcuno intendesse farlo, si troverebbe di fronte alla difficoltà di individuarli tutti e di avere tutto il tempo necessario per farli parlare tutti. Nelle manifestazioni antimafia, al massimo si rammentano i nomi di alcune vittime, ma non si chiede di guardare in faccia e di ascoltare le loro famiglie. La credibilità degli "esperti di mafia"andrebbe sostenuta e rafforzata dalla presenza di chi ha vissuto la mafia sulla sua pelle ed è stato costretto -spesso da solo- a tollerare la vicinanza e la "boria" dei mafiosi in una stessa aula di tribunale. La nascita delle diverse associazioni antimafia e antiracket non è servita a contrastare l'idea che ci siano vittime di mafia di serie A, di serie B e, talora, anche di serie D. Questa colpevole ed ingiustificabile discriminazione, che finora è stata propagandata e diffusa a livello mediatico e giornalistico, adesso è divenuta realtà anche livello legislativo. Uomini del Parlamento, del Senato e del Governo, rappresentanti dei cittadini democraticamente eletti, hanno sancito e sottoscritto questa vergognosa distinzione, senza avere neppure il coraggio di dare una plausibile motivazione del loro operato. Noi familiari delle vittime della mafia non intendiamo accettare questa discriminazione e la combattiamo davanti agli occhi della società civile perchè sia chiaro a tutti che coloro che sono morti per servire e difendere lo Stato sono e devono essere considerati uguali. Dall'attuale Finaziaria è stato stralciato un emendamento, che equipara le vittime del terrorismo alle vittime della mafia. Tutto ciò è avvenuto in silenzio, senza spiegazioni e motivazioni, usando la tattica della "sparizione", che è senz'altro prova dell'imbarazzo in cui numerosi politici si trovano nel dovere "inventare" qualche strana ragione che possa giustificare questa scelta politica.
Cari amici, non pensiate che si tratti di una questione di soldi; è una questione di dignità e di giustizia. Piuttosto che subire quest'onta, preferiamo che sia negato a tutti qualunque tipo di beneficio.
Da giovedì stazioniamo davanti alla Prefettura ed abbiamo ricevuto la solidarietà del Prefetto, del SIULP, di Ammazzatecitutti, degli Onorevoli Lumia e Dioguardi, della Protezione civile (Bertolaso in persona); abbiamo incontrato Marco Travaglio ed i giornalisti di Anno Zero. Ma nessuno della società civile, neanche dell'Antimafia, si è fatto vivo. L'On. Rita Borsellino ci ha fatto una breve visita ed ha tenuto a precisare che "è una come noi".
Dove sono gli altri, dove siete tutti voi che riempite cortei e manifestazioni antimafia?
Ieri "La Repubblica" ha pubblicato la foto di alcuni di noi incatenati, sovrastata da un titolo a caratteri cubitali, che faceva riferimento alla Finanziaria ed ai precari; l'impostazione grafica e mediatica sembrava assimilarci a questa categoria e nel corpo dell'articolo poche righe (peraltro non ben esplicative) richiamavano la nostra vicenda; un lettore distratto o culturalmente poco attrezzato, con grande facilità, avrebbe potuto identificarci con "senza tetto" o disoccupati.
Era necessario che vi chiarissi lo stato reale della questione. Lascio a voi le opportune valutazioni e le conseguenti decisioni.
Pippo Di Vita